Ritardi diversi

Roberto Beccantini3 maggio 2023

Lo scudetto del Napoli è ormai materia esclusivamente burocratica: e si sa quanto, in Italia, l’apparato sia cavilloso, se non permaloso. Manca un punto, uno solo: stasera a Udine? Il popolo sperava di poterlo celebrare domenica scorsa, al Maradona, ma la Salernitana si mise di traverso. Sono ritardi che galvanizzerebbero i nostri treni, figuriamoci i suoi avversari.

E’ stata la Lazio ad allontanare lo champagne. Occhio, però: il 2-0 al Sassuolo è bugiardo assai, dal momento che, tra il gol di Felipe Anderson e il contropiede di Basic (al 92’, addirittura), la sofferenza ha toccato picchi omerici, bucati com’erano i serbatoi e grevi le gambe. La traversa di Frattesi, i dribbling di Berardi e un paio di parate di Provedel hanno offerto il risultato a ogni genere di epilogo. Veniva da due rovesci, Sarri. Il secondo posto è una medaglia che va ben oltre la rosa.

La squadra più brillante del periodo? L’Inter. Proprio lei, la pazza Inter delle undici sconfitte. Finalista in Coppa Italia, semifinalista in Champions, devastante a Verona: 6-0. D’accordo, è stata l’autorete di Gaich ad aprire il mar Rosso: ma già Montipò ne aveva evitati un paio. Poi Calhanoglu, Dzeko, Lau-Toro, ancora Dzeko, ancora Lau-Toro. Terzo successo di fila, in campionato, dopo il 3-0 di Empoli e il 3-1 alla Lazio. Dodici gol (a uno) in tre partite .

Le rotazioni di Inzaghino – non più schiappa, a naso: o sbaglio? – hanno recuperato gli appetiti delle riserve (penso all’acrobazia di Gosens, domenica), il motore canta, e l’avversario non viene più atteso al varco, o rosolato a fuoco lento, ma preso di petto, come le big dovrebbero far sempre. Per carità, l’Hellas non è più la ciurma piratesca di Juric e Tudor: resta il senso di una vittoria larga e profonda che impone una domanda. Por qué solo adesso?

Pogbaino

Roberto Beccantini3 maggio 2023

A volte, guardandola dal basso, uno può pensare che sia falsa la Juventus, non il campionato. Falsa rispetto all’idea che dovremmo avere di lei e di cui lei dovrebbe essere gelosa, orgogliosa. Lo scrivo dopo che ha battuto il Lecce alla «solita» maniera, segnando e rischiando. Certo, ha sofferto anche (e soprattutto) per il palo di Danilo, le occasioni di Miretti, il contropiede divorato da un ingordo Chiesa, lo scavetto terminale di Vlahovic. Ma pure la squadra di Baroni ha avuto le sue: una di Ceesay, in particolare, smorzata dai pugni di Szczesny.

Meglio a Bologna, Madama. Allegri ha mescolato le carte in vista della Dea e del Siviglia, e ricavato – udite udite – un gol da Paredes (su punizione) e uno da Vlahovic (di volée mancina, bello). L’argentino, il serbo: un oggetto misterioso e un bagaglio smarrito. I salentini erano rientrati in partita grazie a un mani-comio di Danilo e al rigore di Ceesay. Inutile tornare sul calendario che spinge, pressa, sballotta, in campo e fuori. E’ ormai difficile che Madama, messa com’è e allenata com’è, possa dominare. Non ci è riuscita con il Lecce, figuriamoci con le altre. Certo, ha piedi – penso a Di Maria – che possono inventare; ed ebbene sì, il Pogba sbirciato nella spazzatura del match, tutto suole e tocchi lesti, sembrava un riflesso dell’antica grandeur.

Vi dirò. Nel muro alzato dal 70’ in poi, ho colto in Bonucci gli speroni catartici di una volta; le stimmate di un anticipo sull’Higuain napoletano, ecco. Bonucci, 36 anni, il battitore libero. Scritto che, dopo i gol, Paredes e Vlahovic sono tornati le statuine del presepe di questo avventurato scorcio, non resta che ribadire il concetto fondante: i giovani al «potere» ci rendono tutti sessantottini, ma costano. Voce dal loggione: ci vorrebbe un maestro. E bravi i loggionisti. Lo so, lo sanno, ma qualcuno piace a Calvo. O era «a qualcuno piace Calvo»?

Un punticino, caccia via

Roberto Beccantini30 aprile 2023

Nella domenica del Napoli interruptus (questione di giorni, comunque) e della rimontona che l’Inter ha inflitto a una Lazio catenacciara, Bologna e Juventus hanno pareggiato 1-1 al Dall’Ara. Veniva, Madama, da tre sconfitte (Lazio, Sassuolo, Napoli), più quella, ributtante, di coppa con l’Inter. Per l’Allegri-bis, inoltre, era la centesima formazione in cento partite. Coraggio pure.

E’ stata come una zingarata al Luna park, orientata da due rigori «varisti»: Danilo su Orsolini (che, a monte, si era liberato con una spintarella di Alex Sandro), trasformato da Orsolini; Lucumi su Milik, parato da Skorupski a Milik (rincorsa col saltello). Parato? Bloccato, letteralmente. Il video a bordocampo non funzionava, così l’arbitro, Sozza, si è fidato di Mazzoleni-avesse-detto.

La non-notizia è che il Bologna di Thiago Motta graffia anche quando non morde. La notizia, invece, è che la Juventus ha tirato. E ha segnato con il centravanti. E se ha rischiato di perdere, è perché ha cercato di vincere. Bum.

Max è ormai come il generale Custer al Little Bighorn. Crivellato di frecce, a parecchie delle quali, però, ha offerto il petto. Bravo nel cambio Kostic-Iling, molto meno nella staffetta Chiesa-Miretti. Un centrocampista per un attaccante. Thiago, lui, dentro Zirkzee e fuori Dominguez: un attaccante per un centrocampista. Il contrario.

Nel primo tempo, meglio la Juventus. E grande Skorupski (due volte su Fagioli, soprattutto; penalty a parte). Nel secondo, meglio il Bologna. E reattivo Szczesny. Non sono mancate le occasioni, da Iling a Soulé, da Zirkzee ad Aebischer. Ma dal momento che il calcio se ne frega dei sofismi, il pareggio Milik l’aveva estratto, di drop sinistro, proprio dal bidone della ripresa.

Mi sono piaciuti Barrow, Moro, Cambiaso e Locatelli. Non c’era Di Maria (caviglia canaglia), Chiesa non ha gradito il cambio. Resta il punticino nel buio pesto del periodo. Ci vorrebbe un leader. Non importa dove. In società, possibilmente. Almeno uno. L’allenatore ha bisogno di aiuto.