Lo scudetto del Napoli è ormai materia esclusivamente burocratica: e si sa quanto, in Italia, l’apparato sia cavilloso, se non permaloso. Manca un punto, uno solo: stasera a Udine? Il popolo sperava di poterlo celebrare domenica scorsa, al Maradona, ma la Salernitana si mise di traverso. Sono ritardi che galvanizzerebbero i nostri treni, figuriamoci i suoi avversari.
E’ stata la Lazio ad allontanare lo champagne. Occhio, però: il 2-0 al Sassuolo è bugiardo assai, dal momento che, tra il gol di Felipe Anderson e il contropiede di Basic (al 92’, addirittura), la sofferenza ha toccato picchi omerici, bucati com’erano i serbatoi e grevi le gambe. La traversa di Frattesi, i dribbling di Berardi e un paio di parate di Provedel hanno offerto il risultato a ogni genere di epilogo. Veniva da due rovesci, Sarri. Il secondo posto è una medaglia che va ben oltre la rosa.
La squadra più brillante del periodo? L’Inter. Proprio lei, la pazza Inter delle undici sconfitte. Finalista in Coppa Italia, semifinalista in Champions, devastante a Verona: 6-0. D’accordo, è stata l’autorete di Gaich ad aprire il mar Rosso: ma già Montipò ne aveva evitati un paio. Poi Calhanoglu, Dzeko, Lau-Toro, ancora Dzeko, ancora Lau-Toro. Terzo successo di fila, in campionato, dopo il 3-0 di Empoli e il 3-1 alla Lazio. Dodici gol (a uno) in tre partite .
Le rotazioni di Inzaghino – non più schiappa, a naso: o sbaglio? – hanno recuperato gli appetiti delle riserve (penso all’acrobazia di Gosens, domenica), il motore canta, e l’avversario non viene più atteso al varco, o rosolato a fuoco lento, ma preso di petto, come le big dovrebbero far sempre. Per carità , l’Hellas non è più la ciurma piratesca di Juric e Tudor: resta il senso di una vittoria larga e profonda che impone una domanda. Por qué solo adesso?